Il 20 aprile 1999 il mondo e soprattutto l’America si scoprono incredibilmente vulnerabili: due ragazzi, due outsider poco popolari, compiono con lucida freddezza una strage alla Columbine High School prima di suicidarsi. L’opinione pubblica rimane sconvolta, ma invece di fare autocritica e pensare al cocktail esplosivo creato da armi facilmente raggiungibili e competitività esagerata instillata nella mente dei suoi adolescenti, decide di rivolgere le sue accuse (false, vale sempre la pena di ricordarlo) al personaggio più in vista e al tempo stesso più odiato e temuto del tempo: Marilyn Manson.
Holy Wood nasce come opera di rabbia e protesta nella quale Manson, insieme alla sua band sempre ispiratissima, decide di alzare la voce e dire la sua sul massacro. Ovviamente lo fa a modo suo, con testi pesanti e provocatori ma pieni di lucida freddezza e capaci di analizzare alla perfezione la situazione. L’album, tra i migliori della band e posto a conclusione dell’ideale trittico iniziato con Antichrist Superstar, si muove in un ambito sempre più lontano dall’industrial degli esordi e dal glam di Mechanical Animals. Qui siamo in territori più canonicamente metal e rock, con qualche eco del nuovo un metal di moda a fine Millennio. Manson non le manda a dire alla società ipocrita che vieta la vendita dei suoi album da Wall-Mart, dove invece si possono acquistare tranquillamente pistole e fucili, e così in The Love Song urla “Do you love your guns? God? Government?” facendo riferimento al folle amore della società americana per le armi, che però in questo caso sono puntate verso chi le sta adorando e pronte a fare fuoco. Allo stesso modo, nella splendida The Nobodies crea un ritratto spaventosamente crudo e significativo delle motivazioni che hanno spinto i due ragazzi a compiere la strage: “Siamo i Signori Nessuno / vogliamo essere Qualcuno / quando saremo morti / allora sapranno chi siamo”. Si tratta dell’ennesima denuncia fatta dall’artista alle contraddizioni della società americana, capace di far diventare star planetarie tanto attrici bellissime quanto i più spietati serial killer (non a caso i nomi d’arte dei membri della band uniscono questi due estremi): “Some children died the other day / […] you should have seen / the ratings that day”.
Come abbiamo già detto, musicalmente l’album si muove in territori sempre più rock consegnando un’immagine della band meno violenta, meno estrema, ma incredibilmente matura con momenti di puro assalto frontale (The Love Song, The Fight Song, The Nobodies, Target Audience (Narcissus Narcosis)) e momenti più riflessivi (Lamb of God e soprattutto la splendida title track, ad oggi la ballad più riuscita mai scritta dalla band). In questo album Manson riversa tutta la sua amarezza per essere il sempiterno capro espiatorio di una società incapace di gestire i mostri che crea, colpevolizzando i suoi figli più ribelli per crimini nei quali non c’entrano nulla.
A conclusione della recensione è opportuno ricordare un aneddoto significativo. Nel 2002 il regista Michael Moore pubblica il suo bellissimo documentario “Bowling for Columbine” e coglie l’occasione per intervistare Manson, in concerto all’epoca nella zona del massacro. Moore chiede cosa si sarebbe sentito di dire a quei ragazzi della Columbine, se avesse avuto modo di parlare con loro. La risposta dell’artista nei panni di Omega è spiazzante per i suoi accusatori: “Non avrei detto niente. Avrei chiesto loro che cosa provavano e li avrei semplicemente ascoltati perché nessuno l’ha mai fatto”.
Credo non ci sia più nulla da aggiungere.
Voto: 9
Giudizio: scomodo