Dopo il successo planetario di Antichrist Superstar e le polemiche infinite che avevano iniziato a seguire la band, i Marilyn Manson pubblicano nel 1998 il loro capolavoro: Mechanical Animals. Punto di rottura totale rispetto all’industrial dell’album che lo aveva preceduto, non a caso prodotto da Trent Reznor, questo lavoro propone una visione chiara e precisa di quello che è il grande riferimento musicale che sempre ha ispirato Manson: David Bowie. Anche la copertina dell’album richiama da vicino lo Ziggy Stardust, con Omega, il nuovo alter ego androgino e alieno di Manson, che campeggia in primo piano. Siamo lontani dall’Anticristo Superstar che arringava le folle dal pulpito sul palco, qua siamo in una dimensione diversa, meno rabbiosa, meno violenta e di rottura ma ugualmente forte nei testi, nel raccontare la dipendenza dalle droghe, nel raccontare la perversione dell’essere umano disposto a tutto pur di avere celebrità o contatto con una celebrità (User Friendly). Musicalmente ci si muove in tanti territori, a volte molto distanti tra loro, ma sempre perfettamente amalgamati, con chitarre distorte eppure estremamente melodiche (Coma White, Disassociative, Mechanical Animals tanto per citare qualche esempio) e il cantato che spazia dalla furia che già avevamo conosciuto in Antichrist Superstar alla sinuosità di The Dope Show o di I Don’t Like The Drugs (But The Drugs Like Me), quest’ultima impreziosita dalla chitarra vivace di Dave Navarro. La mancanza di Reznor si sente, con una produzione che rende il disco completamente diverso dal rabbioso industrial del lavoro precedente, con echi post grunge (Mechanical Animals) e post punk (Posthuman) che richiedono più ascolti per poter essere apprezzati in pieno dimostrando ancora una volta come Manson, prima di essere un grandissimo performer, sia un artista eccellente supportato da musicisti altrettanto eccellenti.
Non c’è più spazio, qua, per il Reverendo ad honorem della Chiesa di Satana di La Vey. In questo lavoro Manson diventa prepotentemente il simbolo decadente e maledetto del nuovo rock che dopo il grunge era davvero morto (Rock Is Dead) e che aveva bisogno di qualcuno in grado di ravvivarlo portando tematiche e emozioni forti. Manson diventa la perfetta rockstar di Fine Millennio, criticata, osteggiata dai benpensanti, estrema e viscerale tanto sul palco quanto nella vita privata, ma dotata di un’intelligenza e di un talento unici, in grado di rendere i suoi testi drammaticamente contemporanei e in grado di toccare le corde giuste per renderlo il riferimento di tanti ragazzi dell’epoca.
Voto: 9
Giudizio: essenziale per ogni collezione di dischi degna di questo nome