Record Runners Music Store

record-runners-finisterrae-music-shop-design-diego-cinquegrana-the-golden-torch-aimaproject-sa-logo

Menu

interpol-turn-on-the-bright-lights

Interpol – Turn On The Bright Lights 2002

Autore | Federico Fea

Nel 2002 ero in fissa con il punk e con il nu-metal, in particolare con i System Of A Down. Li ascoltavo con l’abnegazione che solo un diciassettenne può possedere. Un giorno, il mio compagno di classe esperto di musica e super informato (c’è una regola non scritta che ne prevede uno in ogni sezione delle superiori) mi consigliò questo disco uscito da poco. Me lo prestò, lo ascoltai per un po’ e poi glielo restituii. Non mi piaceva! Orrendo! Non riuscivo a capire la musica, non ne capivo il ritmo, ogni strumento sembrava andare per conto suo e la voce poi…così diversa da quelle cui ero abituato! Era strana, cantilenante, monotona. Sei anni dopo ripresi in mano questo disco e fu amore al primo ascolto. Chiariamo, non sono bipolare, semplicemente prima ero troppo musicalmente ignorante per apprezzare il lavoro della band newyorkese. Dopo aver ampliato le mie esperienze musicali con il post-punk di Joy Division e Bauhaus potei finalmente capire il lavoro di classe contenuto in questo stratosferico debut album: melodie piacevolmente malinconiche, accompagnate da una voce che adesso assumeva un senso e un carisma unici tali da creare il paradigma del post-punk revival. Definire con poche parole il disco degli Interpol non è semplice perché non è di facile ascolto: gli strumenti sono sovrapposti, spesso la melodia va in una direzione diametralmente opposta a quello che ci si aspetterebbe e, a volte, si rimane un po’ smarriti come nella bellissima The New caratterizzata da una prima parte molto evocativa e melodica e da una seconda parte in crescendo che culmina in un finale arabescato da rasoiate di chitarra dissonanti. Non mancano i singoli melodici che hanno proiettato la band nell’Olimpo dell’alternative (Obstacle 1, PDA, Say Hello To The Angels) ma è nella seconda parte del disco che emerge la vera anima degli Interpol, che tributano onori ai primi Cure e ai Joy Division attraverso pezzi più intimisti e meno immediati, ma che rendono questo disco memorabile. Non basta un singolo e distratto ascolto per apprezzarlo appieno, ma gli Interpol sono riusciti a creare un classico che si ascolta alla perfezione anche a distanza di venti anni. A loro modo hanno reinterpretato la new wave e, a loro modo, ne sono entrati a far parte a pieno titolo con un classico. Il punk è un ricordo anche se echeggia in ogni traccia, a farla da padrone sono atmosfere perfette per una New York che ricorda Manchester.

Voto: 9,5

Giudizio: Senza tempo